Erronea decisione d’inammissibilità e rinvio al primo giudice per nullità della sentenza
Consiglio di Stato, Ad. Plen., sentenza 20 novembre
2024, n. 16
Pres. L. Maruotti – Est. R. De Nictolis
L’art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applica anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, errando palesemente nell’escludere la legittimazione o l’interesse del ricorrente”.
(1) Erronea decisione d’inammissibilità e rinvio al primo giudice per nullità della sentenza.
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. La questione rimessa all’Adunanza Plenaria. 3. La decisione dell’Adunanza Plenaria. 4. Erronea pronuncia d’inammissibilità e nullità. 5. (segue) Nullità e omesso esame (della totalità) dei motivi di ricorso. 6. Erronea pronuncia d’inammissibilità e lesione del diritto di difesa. 7. Erronea decisione d’inammissibilità e diniego di giurisdizione. 8. Osservazioni conclusive.
1. Premessa.
Con la decisione n. 16 del 20241, l’Adunanza Plenaria è tornata a occuparsi della disciplina sulla rimessione al primo giudice prevista dall’articolo 105 c.p.a. La questione attualmente riproposta richiede di chiarire se, a fronte di un’erronea sentenza d’inammissibilità del ricorso, il giudice di appello debba rinviare la causa al primo giudice ovvero trattenerla per la decisione nel merito. Nel 2018 l’Adunanza Plenaria ha escluso che le erronee sentenze d’inammissibilità diano luogo a rinvio, sul presupposto che l’errore in rito sulle condizioni dell’azione non sia riconducibile a nessuna delle cause di rimessione previste dall’articolo 105 c.p.a.2 Il nuovo intervento dell’Adunanza Plenaria offre una soluzione parzialmente diversa, affermando che la causa debba essere rinviata nei casi in cui la pronuncia d’inammissibilità sia nulla per difetto di motivazione e non abbia esaminato la totalità dei motivi di ricorso.
La soluzione adottata dall’Adunanza Plenaria si segnala sotto più profili.
In primo luogo, valorizza la rilevanza costituzionale del doppio grado nel sistema di giustizia amministrativa. In secondo luogo, inquadra la questione nella causa di rimessione della nullità della sentenza e non in quella della violazione del diritto di difesa. In terzo luogo, afferma l’obbligo di rinvio soltanto al cospetto delle erronee sentenze d’inammissibilità nulle. Ciascuno di questi aspetti verrà più a fondo esaminato nel proseguo, non prima di aver meglio inquadrato i termini della questione e illustrato il percorso argomentativo della pronuncia.
2. La questione rimessa all’Adunanza Plenaria.
La vicenda all’attenzione dell’Adunanza Plenaria origina dal ricorso al T.A.R. Sicilia per l’annullamento dei provvedimenti che autorizzano la realizzazione e l’esercizio di un impianto di distribuzione carburanti. Il ricorso veniva proposto dal proprietario di un immobile prospiciente al sito, in ragione del pregiudizio che l’esercizio dell’impianto gli avrebbe arrecato. Il T.A.R. dichiarava inammissibile il ricorso per difetto d’interesse, assumendo l’insussistenza in capo al ricorrente di una situazione giuridica differenziata e giuridicamente rilevante. Il ricorrente appellava la decisione innanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, che, in riforma della sentenza di primo grado, affermava la sussistenza in capo all’appellante dell’interesse a ricorrere. Tuttavia, il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana riteneva necessario reinvestire l’Adunanza Plenaria di una questione su cui già in passato si era pronunciata, e cioè se, a fronte di un’erronea sentenza d’inammissibilità, il giudice di appello sia tenuto a rinviare la causa al primo giudice o debba decidere nel merito la lite.
Nel rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione sicilianamuove dal principio del doppio grado di giudizio, osservando come, nel sistema della giustizia amministrativa, tale principio abbia copertura costituzionale e debba intendersi «generalizzato», seppur «con specifico riferimento alle controversie concernenti materie devolute in primo grado ai Tribunali Amministrativi Regionali, in ordine alle quali – dunque – deve sempre essere assicurato un secondo grado di giudizio»3. In virtù del principio del doppio grado, le questioni per le quali i Tribunali amministrativi regionali sono competenti «devono essere inderogabilmente trattate in primo luogo dai predetti Tribunali in quanto giudici naturali precostituiti per legge» e non possono «essere decise in unico grado – quasi per saltum – direttamente dal giudice d’appello»4. Conseguentemente, quando il primo giudice abbia erroneamente dichiarato inammissibile il ricorso, la «mancata trattazione del merito della causa» causerebbe al ricorrente un’ingiusta lesione del «diritto di difesa (sub specie della violazione del principio di corrispondenza fra chiesto epronunziato)»5. La lesione diventerebbe ancor più grave se la causa fosse decisa nel merito direttamente in appello, in quanto la parte si vedrebbe privata «di un grado di giudizio» e, dunque, della possibilità di criticare «la valutazione sul merito della questione operata in quello che diventerebbe l’unico grado del giudizio in cui vi sia stata una cognizione sul merito della vicenda dedotta in giudizio»6.
Così, la perpetrata lesione del diritto di difesa imporrebbe al giudice di appello di rinviare la causa al primo giudice, considerato che tra le cause di rimessione previste dall’articolo 105 c.p.a. è espressamente inclusa la lesione del diritto di difesa7. Tuttavia, nella ricostruzione del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, la lesione del diritto di difesa non verrebbe a determinarsi ogniqualvolta il giudice di appello rilevi l’erroneità della sentenza in rito, ma soltanto nelle ipotesi in cui «la declinatoria in rito sia stata resa in primo grado senza alcuno scrutinio effettivo sul merito della vicenda proposta», ossia quando il T.A.R. si sia limitato a «dichiarare ex ante il ricorso integralmente inammissibile per difetto di interesse, senza alcun esame dei motivi dedotti (come appunto avvenuto nel caso di specie)». Pertanto, solo in queste ipotesi il giudice di appello dovrebbe rinviare la causa al primo giudice8. Viceversa, nelle ipotesi in cui il T.A.R. abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso in esito all’esame e allo scrutinio di tutti o alcuni dei motivi di gravame, non verrebbe a determinarsi alcuna lesione del diritto di difesa e il giudice di appello sarebbe tenuto a trattenere la causa senza rimetterla al primo giudice9. È, dunque, in base a queste considerazioni che il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana investe l’Adunanza Plenaria del seguente quesito di diritto: «se l’annullamento della sentenza di inammissibilità (o di improcedibilità) del ricorso, disvelando che l’omessa trattazione del merito della causa in primo grado ha determinato una ingiusta compressione e dunque una “lesione del diritto di difesa” del ricorrente – lesione che verrebbe ulteriormente perpetrata, per la sottrazione alla sua disponibilità di un grado di giudizio, ove la causa fosse trattata (nel merito) direttamente dal giudice d’appello – non determini la necessità di rimettere la causa, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a., al giudice di primo grado: e ciò, quantomeno, allorché la declaratoria di inammissibilità (o di improcedibilità) del ricorso, nella sua interezza, sia avvenuta ex ante e a prescindere dall’esame, seppur parziale, dei motivi dedotti dalla parte (…)»10.
Riassumendo, le ragioni della rimessione sono tutte incentrate sulla presunta lesione del diritto di difesa: l’erronea decisione d’inammissibilità del ricorso verrebbe a pregiudicare il diritto di difesa della parte precludendole la possibilità di ottenere una pronuncia di merito; a fronte di un’erronea sentenza d’inammissibilità, il mancato rinvio della causa al primo giudice priverebbe la parte di un doppio grado di giudizio, poiché la decisione di merito sarebbe di fatto resa in un unico grado e non suscettibile di essere appellata.
Si tratta di ragioni che, in passato, erano già state prospettate da alcune pronunce del giudice amministrativo, senza però incontrare l’adesione dell’Adunanza Planaria11. Come noto, infatti, nel 2018 l’Adunanza Plenaria ha escluso che l’erronea decisione d’inammissibilità produca una lesione del diritto di difesa e che pertanto la causa debba essere rinviata al primo giudice12. Per l’Adunanza Plenaria, l’errore del giudice nel dichiarare inammissibile il ricorso non integrerebbe un vizio del procedimento, unico a rilevare per un’ipotetica lesione del diritto di difesa, ma soltanto un vizio della decisione che, in conformità alla natura devolutiva dell’appello, non precluderebbe al Consiglio di Stato di decidere nel merito la controversia13. Inoltre, la decisione della controversia direttamente in appello non contrasterebbe con il principio del doppio grado, in quanto tale principio non imporrebbe un esame del merito in ciascun grado di giudizio, ma soltanto la garanzia che la parte possa richiedere la revisione della pronuncia di primo grado14.
Netto è il contrasto tra le ragioni sottese all’attuale rimessione e le posizioni espresse nel 2018 dall’Adunanza Plenaria: sia per quanto riguarda la concezione del diritto di difesa; sia per quanto riguarda l’esatto significato del doppio grado di giudizio.
3. La decisione dell’Adunanza Plenaria.
L’Adunanza Plenaria afferma che, al contrario di quanto prospettato dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, la questione non può risolversi in base al diritto di difesa e che, pertanto, non occorre approfondire se l’erronea decisione d’inammissibilità determini una lesione del diritto di difesa. Piuttosto, secondo l’Adunanza Plenaria, l’erronea dichiarazione d’inammissibilità potrebbe determinare la «nullità della sentenza» per difetto assoluto di motivazione, nelle specifiche ipotesi in cui «la statuizione d’inammissibilità si basi su una motivazione tautologica o sia frutto di un errore palese, in fatto o in diritto, che abbia per conseguenza il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso». Per contro, non sarebbero nulle per difetto assoluto di motivazione le decisioni d’inammissibilità che, seppur erronee, si basino su «una motivazione adeguata e ragionevole coerente con i principi processuali, che tenga conto dei fatti di causa e delle censure dedotte in relazione alla lesione prospettata», dal momento che in questi casi sarebbe comprensibile «in modo chiaro in fatto e in diritto l’effettiva sussistenza della ragione giuridica, posta a base della declaratoria di inammissibilità». In conformità a quanto previsto dall’articolo 105 c.p.a., darebbero, quindi, luogo a rinvio per «nullità della sentenza» soltanto le decisioni che abbiano erroneamente dichiarato l’inammissibilità senza tenere in adeguata considerazione i motivi di ricorso o la situazione fattuale, basandosi su un errore palese o su una motivazione meramente apparente. In altri termini, il rinvio opererebbe solo al cospetto di quelle decisioni che abbiano statuito in rito senza esaminare il c.d. “merito processuale” che, nella ricostruzione della Plenaria, si identifica sia nei “fatti processuali” che nei “motivi di ricorso”15.
Secondo l’Adunanza Plenaria, la soluzione in esame garantirebbe alle erronee decisioni d’inammissibilità lo stesso trattamento che l’articolo 105 c.p.a. riserva alle decisioni che erroneamente declinano la giurisdizione o la competenza, ovvero a quelle che dichiarano erroneamente l’estinzione o la perenzione del giudizio. Così, tutti gli errori che abbiano «per conseguenza il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso» determinerebbero la regressione al primo giudice, evitando discriminazioni tra le diverse tipologie di decisione in rito16. La soluzione sarebbe anche rispettosa del principio del doppio grado, in base al quale se, da un lato, la decisione del T.A.R. deve poter essere appellata; dall’altro, la causa deve essere «esaminata nel merito in primo grado, in presenza dei relativi presupposti e sula base dei principi del giusto processo e di effettività della tutela»17.
Così, il descritto percorso argomentativo conduce l’Adunanza Plenaria ad affermare il seguente principio di diritto, con specifico riferimento alle sentenze d’inammissibilità18: «l’art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applica anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, errando palesemente nell’escludere la legittimazione o l’interesse del ricorrente».
4. Erronea pronuncia d’inammissibilità e nullità.
Nella ricostruzione dell’Adunanza Plenaria, il giudice di appello dovrebbe rinviare solo al cospetto di decisioni d’inammissibilità nulle perché basate su una «motivazione tautologica» o perché frutto di un «errore palese» che abbia per conseguenza «il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso». La nullità per difetto assoluto di motivazione è il frutto di un orientamento giurisprudenziale consolidato che ha individuato l’ipotesi nei casi di «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico» e di «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili», ovvero nei casi di motivazione «meramente assertiva, tautologica, apodittica, oppure obiettivamente incomprensibile»19. Secondo tale orientamento, possono essere nulle per difetto assoluto di motivazione sia le sentenze di rito che le sentenze di merito20. L’unica differenza è che, per le prime, il vizio si annida in una statuizione di rito; per le seconde in una statuizione di merito. Perché una decisione di rito sia nulla per difetto assoluto di motivazione è, dunque, sufficiente che la sua motivazione presenti le gravi anomalie di cui si è detto. Nonostante il consolidato orientamento abbia delimitato tali anomalie chiaramente e restrittivamente, talvolta alcune pronunce assumono posizioni meno certe e definite, correlando la nullità anche a vizi motivazionali ordinari, o quantomeno non così gravi come quelli che dovrebbero dar luogo al difetto assoluto di motivazione21. Ma, in generale, cosa debba intendersi per difetto assoluto di motivazione non sembra presentare particolari problemi. Pertanto, il rinvio a fronte di una sentenza in rito nulla per difetto di motivazione non rappresenta certo una novità della sentenza in commento, ma è conclusione già pacificamente desumibile dal pregresso contesto giurisprudenziale.
Le cose potrebbero essere diverse per la nullità frutto di un «errore palese» che abbia determinato il mancato esame dei motivi di ricorso. Nella parte motiva della sentenza, l’ipotesi sembra distinta dall’altra della motivazione tautologica, come confermerebbe questo passaggio: «qualora la statuizione di inammissibilità si basi su una motivazione tautologica o sia frutto di un errore palese, in fatto o in diritto, che abbia per conseguenza il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso». Tuttavia, nella formulazione del principio di diritto, la motivazione tautologica non viene più richiamata e ad essere evocato è soltanto l’errore palese: «l’art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applica anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, errando palesemente nell’escludere la legittimazione o l’interesse del ricorrente». Al di là di questa distonia, è un dato di fatto che, nel riferirsi all’ “errore palese”, l’Adunanza Plenaria non offra alcuna qualificazione dell’errore, se non quella scontata che esso debba riguardare le condizioni dell’azione, e non spieghi altrimenti in cosa consisterebbe il suo carattere “palese”. Né si ricevono maggiori indicazioni dalla circostanza che, per integrare la nullità, l’errore palese debba avere come conseguenza il mancato esame dei motivi di ricorso. In realtà, non sembra esserci alcuna correlazione tra palesità dell’errore e mancato esame dei motivi del ricorso, dal momento che anche un errore non palese, se cade sulle condizioni dell’azione, può determinare il mancato esame dei motivi di ricorso. In assenza di più precise indicazioni, il concetto di errore palese appare inadeguato a definire con chiarezza un’ipotesi di nullità per difetto assoluto di motivazione. Impiegando il concetto, la categoria della nullità sarebbe sistematicamente esposta alle diverse interpretazioni della giurisprudenza, propensa oggi a qualificare “palese” un certo errore, domani a non ritenerlo più tale. A pagare il prezzo sarebbe la certezza del diritto e, più precisamente, la certezza di regole processuali direttamente correlate alla garanzia costituzionale del diritto di azione e di difesa.
La difficoltà di definire il concetto di errore palese suggerisce, dunque, di eliminare ogni supposta autonomia tra errore palese e motivazione tautologica. In questa prospettiva, errore palese e motivazione tautologica risultano tra loro strettamente correlati, nel senso che il primo indica l’errore che caratterizza e sostanzia la motivazione tautologica. In quanto annidato in una decisione in rito, l’errore impedisce pur sempre l’esame dei motivi di ricorso, ma la “palesità” risiederebbe nella sua idoneità ad integrare gli elementi di una motivazione tautologica o apparente. Così, la nullità si qualificherebbe in base al concetto più chiaro e definito di motivazione tautologica o apparente, preservando almeno in parte quella certezza che deve contraddistinguere la disciplina processuale. Al contempo, risulterebbero identificabili gli errori non palesi ma comunque di ostacolo all’esame dei motivi di ricorso, che, a questo punto, sarebbero quegli errori non così gravi da rivelare una motivazione tautologica o apparente.
5. (segue) Nullità e omesso esame (della totalità) dei motivi di ricorso.
Nella ricostruzione dell’Adunanza Plenaria il rinvio è comunque condizionato dal mancato esame della totalità dei motivi di ricorso, sicché la rimessione andrebbe disposta solo quando la riforma investa una sentenza d’inammissibilità nulla che non abbia esaminato la totalità dei motivi di ricorso. L’espressione «mancato esame della totalità dei motivi di ricorso» richiede alcuni chiarimenti in ordine al suo esatto significato.
Di primo impatto, il mancato esame dei motivi di ricorso sembrerebbe significare mancata verifica della legittimità del provvedimento impugnato in base alle censure dedotte nel ricorso, considerato che l’oggetto del giudizio amministrativo, al quale è strettamente correlata la nozione di merito, viene tradizionalmente identificato nella verifica sulla legittimità del provvedimento in base ai motivi di ricorso22. Tuttavia, l’Adunanza Plenaria offre una nozione di merito processuale che, accanto all’accezione di merito come “motivi di ricorso”, ricomprende anche l’accezione di merito come “fatti processuali”, lasciando così intendere che, per esame del merito, ci si debba riferire sia all’esame dei motivi di ricorso sia all’esame dei fatti di causa. Ciò viene ribadito in altro passaggio della sentenza dove si precisa che le decisioni d’inammissibilità rilevanti agli effetti della rimessione sono soltanto quelle che, a causa del vizio motivazionale, abbiano omesso l’esame del merito «inteso come fatti di causa» o abbiano omesso l’esame del merito «inteso come motivi di ricorso»; non anche quelle che abbiano esaminato «i motivi di ricorso» o quelle «in cui la declaratoria di inammissibilità è il risultato di una disamina di tutti o alcuni motivi di ricorso».
L’identificazione del merito processuale anche con i fatti di causa e non soltanto con i motivi di ricorso appare condivisibile, ove si ritenga che l’esame del fatto sia strumentale all’accertamento sulla legittimità, ossia che «attraverso il giudizio di merito il giudice, valutando le prove dedotte in giudizio, perviene al proprio convincimento sull’esistenza o meno dei fatti contestati dalle parti e statuisce in via definitiva sulla fondatezza delle lor pretese»23.
L’aspetto più problematico concerne, invece, l’ambientazione della nozione tradizionale di merito nel contesto delle sentenze d’inammissibilità. Infatti, in relazione ad una sentenza d’inammissibilità, l’identificazione del merito con i motivi di ricorso non implica di norma un sindacato di legittimità del provvedimento impugnato, perché se così fosse la decisione non sarebbe una decisione di rito ma una vera e propria decisione di merito24. Piuttosto, nella generalità dei casi, l’esame dei motivi è strumentale ad accertare la sussistenza o meno della legittimazione ad agire o dell’interesse al ricorso. Per riprendere un esempio riportato dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana nella pronuncia di rimessione, si pensi al ricorso dichiarato inammissibile per violazione del divieto di venire contra factum proprium, qualora un ente pubblico abbia espresso parere favorevole in conferenza di servizi, ma abbia poi impugnato la relativa determinazione conclusiva per motivi che avrebbe potuto sollevare in sede procedimentale. È, pertanto, evidente che, se rapportata al contesto delle sentenze di rito, l’accezione di merito come “motivi di ricorso” differisce dalla nozione tradizionale incentrata sul sindacato di legittimità. Una sentenza che dichiara inammissibile il ricorso alla luce dei motivi dedotti non esprime alcuna valutazione in ordine alla legittimità del provvedimento, considerato che l’esame dei motivi serve piuttosto a sorreggere e giustificare la dichiarata inammissibilità. Detto in altri termini, una sentenza di rito che abbia esaminato i motivi di ricorso resta pur sempre una sentenza di rito perché si limita ad accertare un profilo processuale senza pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento o sulla fondatezza della pretesa. Lo stesso vale per una sentenza di rito che abbia esaminato la situazione fattuale.
Si può così osservare che la nozione di merito prospettata dall’Adunanza Plenaria viene impiegata per escludere dal campo della rimessione pronunce che sono pur sempre di rito e non di merito. Il che rende poco convincente la soluzione adottata, in quanto restringe l’operatività del rinvio in base a classificazioni che non riflettono la reale differenza tra sentenze di merito e sentenze di rito e che comunque non giustificano distinzioni nell’ambito delle sentenze d’inammissibilità nulle per difetto di motivazione. La soluzione sembra così risolversi nell’ingiustificata esclusione dall’ambito del rinvio delle sentenze nulle che abbiano esaminato i motivi di ricorso o la specifica situazione fattuale. Il che sarebbe in contrasto con l’articolo 105 c.p.a. che, nel prevedere il rinvio nei casi di «nullità della sentenza», non opera alcuna distinzione nell’ambito delle sentenze nulle25. Ai fini del rinvio per nullità della sentenza, ciò che, infatti, dovrebbe unicamente rilevare è che la pronuncia sia affetta da un difetto assoluto di motivazione. Se il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso può certamente essere un sintomo del vizio motivazionale, l’esame di uno o più di tali motivi non sembra necessariamente escludere il vizio, nemmeno se a causa del loro esame si pretenda di mutare la qualificazione da sentenza di rito a sentenza di merito. Pertanto, al fine di evitare differenti trattamenti processuali, l’obbligo di rinvio andrebbe affermato indistintamente per tutte le sentenze d’inammissibilità nulle e non soltanto per le sentenze d’inammissibilità nulle che non abbiano esaminato la totalità dei motivi di ricorso26.
L’unica distinzione che, nell’ambito delle sentenze di rito, potrebbe eventualmente giustificare un diverso trattamento processuale è quella tra sentenze di rito vere e proprie e sentenze di rito solo apparentemente processuali27. Mentre le prime si esauriscono in una pura e semplice statuizione processuale, le seconde si caratterizzano per un dispositivo processuale al quale si accompagna un giudizio su di una «questione di merito o logicamente pregiudiziale al merito»28. Ma è una distinzione che non sembra abbia nulla a che vedere con la distinzione prospettata dall’Adunanza Plenaria tra sentenze d’inammissibilità (nulle) che abbiano esaminato i motivi di ricorso o la situazione di fatto e sentenze d’inammissibilità (nulle) che non lo abbiano fatto. La sentenza in rito vera e propria si distingue dalla sentenza apparentemente processuale perché la prima è una decisione solo processuale mentre la seconda consuma anche apprezzamenti di merito. Viceversa, la distinzione evocata dall’Adunanza Plenaria è indifferente ai fini della qualificazione della sentenza come di rito o di merito, perché entrambe le tipologie di sentenze restano pur sempre sentenze esclusivamente processuali. Ciò che, semmai, rende problematica la classificazione delle sentenze apparentemente processuali è che il giudizio di merito che dovrebbe caratterizzarle viene spesso inteso come apprezzamento sulla situazione giuridica dedotta in giudizio, anche in assenza di una valutazione sulla legittimità del provvedimento29. Il rischio è, pertanto, che si confonda con l’accertamento che il giudice è chiamato a compiere in ordine alla legittimazione ad agire, considerato che nel processo amministrativo di norma la legittimazione ad agire coincide con la titolarità della situazione giuridica30. Il che rivela l’estrema cautela con cui deve essere impiegata la classificazione, almeno quando si ritenga d’identificare la legittimazione ad agire con la titolarità della situazione giuridica31.
6. Erronea pronuncia d’inammissibilità e lesione del diritto di difesa.
Sin qui si è visto come, al di là di alcuni distinguo, l’obbligo di rinvio venga in sostanza affermato per le sole ipotesi in cui l’erronea sentenza d’inammissibilità sia nulla per difetto di motivazione. Sicché, non darebbero luogo a rimessione le erronee sentenze d’inammissibilità che non siano considerate nulle.
Se avesse approfondito la questione nei termini individuati dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, l’Adunanza Plenaria avrebbe potuto adottare una diversa soluzione incentrata sulla lesione del diritto di difesa. Come si è già detto, nella prospettiva indicata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, l’erronea sentenza d’inammissibilità pregiudicherebbe il diritto di difesa impedendo alla parte di ottenere una pronuncia di merito. Inoltre, il mancato rinvio della causa a fronte di un’erronea pronuncia d’inammissibilità priverebbe la parte di un doppio grado di giudizio, poiché la decisione di merito sarebbe adottata in un unico grado dal giudice di appello.
Va subito chiarito che l’inquadramento dell’erronea decisione d’inammissibilità nella lesione del diritto di difesa sconta la resistenza di una concezione del diritto di difesa generalmente incentrata sulle garanzie difensive riconosciute alle parti nel processo. Secondo questa concezione, fatta propria anche dall’Adunanza Plenaria nelle sentenze del 2018, il diritto di difesa potrebbe essere violato solo da vizi del procedimento lesivi di tali garanzie32. A titolo meramente esemplificativo, si pensi alla mancata concessione di un termine a difesa, alla definizione del giudizio in forma semplificata senza il rispetto delle garanzie previste dall’art. 60 c.p.a; alla violazione dell’art. 73 c.p.a. per aver il giudice posto a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio e non prospettata alle parti; alla fissazione dell’udienza di merito nel periodo feriale; alla sentenza pronunciata senza che sia dichiarata l’interruzione pur in presenza dei relativi presupposti. In tutti questi casi, la rimessione della causa serve a garantire il diritto di difesa sin dal primo grado di giudizio33.
Se, però, si assume una concezione del diritto di difesa più ampia e meno restrittiva, lo scenario cambia radicalmente. In questa prospettiva, la garanzia sancita nell’articolo 24 Cost. non si esaurisce nel diritto di difendersi nel giudizio attraverso gli strumenti processuali predisposti dall’ordinamento, ma implica, più in generale, che al bisogno di tutela invocato dalla parte sia data una risposta idonea a risolvere la lite e che, pertanto, il giudice si pronunci sulla domanda decidendo nel merito la controversia34. Così, la garanzia costituzionale viene a ricomprendere al suo interno il diritto della parte a vedere esaminata la propria domanda in funzione di una soluzione sostanziale della lite. In altri termini, la garanzia costituzionale si identifica (anche) con il diritto della parte ad ottenere una pronuncia di merito35. Nel travalicare i più ristretti spazi delle garanzie meramente procedurali, questa concezione più ampia del diritto di difesa si inquadra e si giustifica in base ai principi generali del giusto processo36, tra cui viene pacificamente incluso il principio della «tendenziale massima accessibilità alla tutela nel merito», secondo cui il processo deve risultare funzionalizzato ad una definizione nel merito della controversia37. Che il processo debba tendere alla soluzione nel merito della lite rappresenta, pertanto, un principio cardine della funzione giurisdizionale, garantito e tutelato dal combinato disposto degli articoli 111, comma 1 e 24, commi 1 e 2 della Costituzione. Non è del resto un caso che anche le prevalenti teorie sul concetto di azione individuano nella decisione di merito l’obiettivo che, attraverso il processo, l’azione mira a conseguire38.
Ne discende che, quando, a causa di un errore sulla legittimazione o l’interesse a ricorrere, il giudice manchi di adottare una decisione di merito, viene ad integrarsi una violazione del diritto di difesa rilevante agli effetti dell’articolo 105 c.p.a. e la causa deve essere rimessa al primo giudice. Oltre a valorizzare un concetto di diritto di difesa più ampio e sostanziale, questa soluzione assicura anche il pieno rispetto del principio del doppio grado, nella sua accezione “forte” di doppio esame del merito, in quanto, nell’imporre la rimessione, impedisce che la decisione di merito sia adottata in unico grado dal giudice di appello, in assenza di un successivo controllo giurisdizionale che non sia quello limitato ai profili di giurisdizione39. Potrebbe obiettarsi che il doppio grado, in un’accezione che potremmo chiamare “debole”, risulti pur sempre garantito dalla sola possibilità di impugnare al Consiglio di Stato la sentenza di rito, senza che sia pregiudicato dall’eventualità che il giudice d’appello decida nel merito la lite. Tuttavia, in disparte la considerazione che l’accezione “forte” sembra essere quella più adatta a valorizzare la rilevanza costituzionale del principio nella giustizia amministrativa, è anche la disciplina positiva sulla rimessione a rivelare una preferenza per l’accezione “forte”. Infatti, la ratio sottesa al rinvio nelle ipotesi di erronea declinatoria di giurisdizione o competenza e di erronea dichiarazione di perenzione o estinzione mira proprio ad impedire che la decisione di merito sia adottata in unico grado dal giudice di appello. Sicché, invocare la più attenuata garanzia al cospetto delle erronee pronunce d’inammissibilità risulterebbe incoerente con la tutela piena contemplata per gli altri errori in rito.
L’inquadramento dell’erronea decisione d’inammissibilità nella lesione del diritto di difesa amplia l’ambito della rimessione più di quanto avvenga in base alla soluzione adottata dall’Adunanza Plenaria. Basti osservare che, nella ricostruzione dell’Adunanza Plenaria, il rinvio deve essere disposto solo a fronte di una sentenza d’inammissibilità che sia nulla e non semplicemente erronea. Diversamente, per la soluzione qui prospettata, solo parzialmente coincidente con quella indicata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, il rinvio dovrebbe operare a fronte di tutte le erronee decisioni d’inammissibilità, siano esse nulle o semplicemente erronee. L’unica eccezione varrebbe per le sentenze apparentemente processuali, ma andrebbe attentamente verificata caso per caso, considerata la difficoltà di perimetrare esattamente la tipologia di pronuncia.
7. Erronea decisione d’inammissibilità e diniego di giurisdizione.
A chiusura di queste note di commento, è opportuno soffermarsi brevemente su un profilo non espressamente esaminato dall’Adunanza Plenaria, ma che merita di essere ugualmente sottolineato per le implicazioni di sistema. Il profilo riguarda la riconducibilità dell’erronea decisione d’inammissibilità ad un’ipotesi di erronea declinatoria di giurisdizione o di rifiuto di giurisdizione40. Nell’adottare una soluzione incentrata sulla nullità della sentenza, l’Adunanza Plenaria nega implicitamente che l’erronea declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità del ricorso sia assimilabile ad un’erronea declinatoria di giurisdizione. Negare, sia pur implicitamente, l’assimilazione tra erronea decisione d’inammissibilità e diniego di giurisdizione, rivela una posizione antitetica a quella espressa dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione in una recente pronuncia del 2023 relativa alla questione delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreativa41. Senza poter qui entrare nei dettagli, basti osservare come, nella ricostruzione di quella pronuncia, la decisione del giudice amministrativo di dichiarare inammissibili gli interventi in giudizio di alcune associazioni rappresentative degli interessi dei balneari darebbe luogo ad una questione di giurisdizione denunciabile ai sensi dell’articolo 111, comma 8, Cost. Più precisamente, secondo la Cassazione la dichiarazione d’inammissibilità degli interventi integrerebbe un vero e proprio rifiuto di giurisdizione in quanto negherebbe tutela giurisdizionale all’interesse legittimo fatto valere dalle associazioni, che sarebbe così degradato a semplice interesse di fatto42. Si tratta di una posizione particolarmente rilevante nell’ambito della stessa giurisprudenza della Corte di cassazione, in quanto, superando un orientamento più restrittivo, estende il sindacato sui «motivi inerenti alla giurisdizione» alle ipotesi in cui il Consiglio di Stato applichi erroneamente le regole di giudizio negando tutela giurisdizionale ad una determinata situazione giuridica43.
Ad ogni modo, le conclusioni della Cassazione potrebbero essere estese alla sentenza che erroneamente dichiara insussistente la legittimazione ad agire o l’interesse a ricorrere, dal momento che anche una tale pronuncia impedisce l’accesso al processo negando tutela giurisdizionale ad una situazione giuridica.
È, dunque, in questo contesto, che la posizione del Consiglio di Stato assume uno specifico rilievo poiché, in contrasto con la Cassazione, esclude che l’erronea dichiarazione d’inammissibilità o improcedibilità del ricorso riveli un diniego o rifiuto di giurisdizione. Se nella sentenza dell’Adunanza Plenaria il contrasto resta implicito nelle conclusioni, la diversità di approdo è nettamente esplicitata in una recente pronuncia del Consiglio di Stato, nella quale si ribadisce l’esclusione di ogni ipotetica assimilazione tra erronea declaratoria d’inammissibilità del ricorso e diniego di giurisdizione, sul presupposto che, a differenza del secondo, nel primo caso non è affatto controversa la “giustiziabilità” della situazione giuridica, ma soltanto l’individuazione dei soggetti titolari di quella situazione giuridica44.
Pur non essendo questa la sede per approfondire l’argomento, è innegabile che la posizione del Consiglio di Stato sia quella maggiormente allineata con la sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, che, come noto, ha interpretato restrittivamente i «motivi inerenti alla giurisdizione» riconducendovi esclusivamente le ipotesi di difetto di giurisdizione assoluto o relativo45. Conseguentemente, nei casi in cui il giudice applichi erroneamente le regole di giudizio e per tale errore neghi tutela ad una situazione giuridica, non si è al cospetto di una questione di giurisdizione, ma di un semplice cattivo esercizio della giurisdizione, come tale insindacabile con il ricorso in Cassazione ex art. 111, comma 8, Cost46. Al di là di quale sia la posizione preferibile, resta il fatto che Consiglio di Stato e Cassazione offrono un diverso inquadramento delle questioni di giurisdizione, più ristretto il primo, più ampio la seconda. Vero è che il diverso inquadramento si colloca in ambiti tra loro eterogenei: da un lato, l’individuazione delle cause di rimessione al primo giudice; dall’altro, l’individuazione dei «motivi inerenti alla giurisdizione» denunziabili ai sensi dell’articolo 111, comma 8. Ciò, tuttavia, non mitiga il contrasto, così come non lo attenua l’affermazione della Cassazione secondo cui il più ampio concetto di giurisdizione «attiene alla sola determinazione dei casi di ammissibilità del ricorso per cassazione avverso sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti (…), non anche, perciò, alle disposizioni dei codici di rito riguardanti la determinazione dei casi in cui il giudice di appello deve rimandare le parti davanti al primo giudice (353 cod. proc. civ.; art. 105 cod. proc. amm.; art. 199 cod. giust. cont.)»47. Pur se diverse sono le finalità che si rapportano alle differenti posizioni, il contrasto mina di per sé la certezza del diritto frantumando il concetto di giurisdizione che dovrebbe invece rimanere unitario.
8. Osservazioni conclusive.
Al di là di alcuni passaggi non pienamente convincenti,48 la sentenza offre una conclusione tutto sommato condivisibile seppur scarsamente innovativa, considerato che già nel 2018 l’Adunanza Plenaria aveva affermato l’obbligo di rinvio al cospetto di sentenze nulle per difetto di motivazione. Tuttavia, se nelle intenzioni la conclusione dovrebbe allineare l’errore sulle condizioni dell’azione agli altri errori in rito49, in concreto l’allineamento è solo parzialmente attuato, in quanto il rinvio verrebbe pur sempre ad operare solo per le pronunce d’inammissibilità nulle, ma non per quelle che tali non siano. In ciò l’aspetto realmente problematico della soluzione adottata dall’Adunanza Plenaria. Non sembra, infatti, ci siano valide ragioni per operare un diverso trattamento processuale nell’ambito delle sentenze d’inammissibilità, considerato che tutte le erronee sentenze in rito, siano esse nulle o meno, impediscono ugualmente che la causa sia decisa nel merito, arrecando in ciò una lesione al diritto di difesa rilevante agli effetti della rimessione. Nemmeno il principio di ragionevole durata del processo sembra ostacolare questa prospettiva, in quanto un’eventuale dilatazione dei tempi processuali sarebbe pur sempre giustificata dall’esigenza di rispettare il diritto di difesa in tutta la sua ampiezza, compresa la garanzia del doppio grado di giudizio50. L’unico vero ostacolo è nella persistente resistenza ad accogliere una concezione sostanziale del diritto di difesa, diversa da quella che lo identifica restrittivamente nelle sole garanzie procedurali.
Abstract: La sentenza in esame torna ad occuparsi della disciplina sulla rimessione di cui all’articolo 105 c.p.a., che già nel 2018 era stata oggetto di alcune decisioni dell’Adunanza Plenaria. Chiamata a chiarire se, a fronte di un’erronea pronuncia d’inammissibilità, il giudice di appello debba rimettere la causa al primo giudice, l’Adunanza Plenaria ha affermato che la causa debba essere rinviata soltanto nei casi in cui l’erronea pronuncia d’inammissibilità sia nulla per difetto assoluto di motivazione. Come in parte prospettato dal Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, la questione avrebbe potuto essere diversamente inquadrata nella violazione del diritto di difesa, sul presupposto che le erronee pronunce d’inammissibilità impediscono alla parte di ottenere una pronuncia di merito. In questa prospettiva, tutte le erronee sentenze d’inammissibilità – non solo quelle nulle – verrebbero a determinare il rinvio al primo giudice, così da garantire il pieno rispetto del principio del doppio grado, che sarebbe, invece, pregiudicato se la decisione di merito fosse adottata in unico grado dal giudice di appello.
Abstract: The sentence in question returns to deal with the discipline on referral provided for in article 105 of the Code of Administrative Process, which had already been the subject of some decisions of the Plenary Session of the Council of State in 2018. Called to clarify whether, in the face of an erroneous sentence of inadmissibility, the appeal judge should refer the case back to the first judge, the Plenary Session of the Council of State has stated that the case should be referred back only if the erroneous sentences of inadmissibility are null and void due to an absolute lack of motivation. As partly stated by Sicilian Region Administrative Justice Council, the issue could have been differently framed as a violation of the right of defence, on the assumption that erroneous sentences of inadmissibility prevent the party from obtaining a ruling on the merits. From this perspective, all erroneous inadmissibility sentences – not just null ones – would lead to refer the case back to the court of first instance, so as to guarantee full compliance with the principle of double degree, which would, however, be violates if the decision on the merits were adopted in a single degree by the appeal judge.
1 Cons. Stato, Ad. Plen., 20 novembre 2024, n. 16, in Foro it., 4/2025, col. 133, con nota di A. Travi.
2 Cons. Stato., Ad. Plen., 30 luglio 2018 n. 10, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Ad. Plen., 30 luglio 2018 n. 11, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Ad. Plen., 28 settembre 2018, n, 15, in www.giustizia-amministrativa.it.
4 In altri termini, la decisione rimarca che «in tutti i casi in cui i Tribunali Amministrativi Regionali siano ordinariamente competenti – ex lege – a decidere in primo grado, tale “giudizio di base” non può essere pretermesso (o “saltato”)».
7 Come noto, l’articolo 105 c.p.a. prevede che «Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l’ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio».
8 Per la ricostruzione esaminata, occorre, infatti, distinguere due ipotesi: «i) quella in cui il T.a.r. si limita a dichiarare ex ante il ricorso integralmente inammissibile per difetto di interesse, senza alcun esame dei motivi dedotti (come appunto avvenuto nel caso di specie); ii) la diversa ipotesi in cui il T.A.R. dichiara solo in parte inammissibile il ricorso, limitatamente a certi motivi ed all’esito del loro scrutinio (…) In questo secondo caso la declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso giunge comunque all’esito di uno scrutinio nel merito, da parte del T.A.R., delle censure dedotte dal ricorrente, con la conseguenza che, in caso di riforma in appello della statuizione in rito, la questione dovrà essere trattenuta dal giudice di secondo grado, senza rinvio al primo giudice (…)».
9 «Diversamente è a dirsi invece nei casi in cui la pronuncia in rito di inammissibilità (o di improcedibilità) del ricorso precede ogni altro scrutinio e prescinde quindi dall’esame del contenuto dei motivi dedotti, come appunto verificatosi nel caso di specie, dovendosi quindi – e solo in questi casi – rinviare la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a. per lesione del diritto di difesa della parte» (Cons. Giust. amm. Sic., n. 652/2024, cit.)
10 Con sentenza non definitiva 21 febbraio 2025, n. 1483, in www. giustizia-amministraiva.it, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha deferito all’Adunanza Plenaria la stessa questione in ordine alle erronee decisioni di improcedibilità e irricevibilità del ricorso; più esattamente, ha chiesto se «l’art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applichi anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato improcedibile il ricorso di primo grado errando palesemente nell’escludere la permanenza dell’interesse del ricorrente» e «se l’art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applichi anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato irricevibile il ricorso di primo grado errando palesemente» (con riferimento a questa seconda questione, la Sezione ha richiesto all’Adunanza Plenaria una pronuncia nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 99, comma 5, c.p.a.).
11 È bene ricordare che, nel periodo 2017- 2018, alcune pronunce del Consiglio di Stato già avevano evidenziato come l’erronea decisione d’inammissibilità del ricorso integrasse una lesione del diritto di difesa rilevante agli effetti dell’articolo 105 c.p.a. In estrema sintesi, si argomentava che l’errore del primo giudice avrebbe compromesso il “diritto ad una decisione nel merito”, inquadrabile nel più ampio diritto di difesa, e che il mancato rinvio avrebbe privato la parte di un doppio grado di giudizio, in quanto il merito della controversia sarebbe stato deciso in unico grado direttamente dal giudice di appello, senza possibilità di appellare la decisione così adottata (cfr. C. Giust. amm. Sic., 1 marzo 2018 n. 123, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Giust. amm. Sic., 24 gennaio 2018 n. 33, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 31 luglio 2017 n. 3809, in www.giustizia-amministrativa.it.; Cons. giust. amm. Sic., 17 aprile 2018 n. 223, in www.giustizia-amministrativa.it, Cons. Stato, Sez. IV, 5 aprile 2018 n. 2122, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. III, (ord.) 24 aprile 2018 n. 2472, in www.giustizia-amministrativa.it).
12 Già Cons. Stato, Ad. Plen., 4 luglio 1978 n. 18 aveva escluso che le erronee decisioni d’inammissibilità, irricevibilità e improcedibilità potessero determinare il rinvio della causa al primo giudice, sul presupposto che l’errore sull’ammissibilità, ricevibilità o procedibilità del ricorso investirebbe «soltanto il contenuto della pronunzia impugnata e non il processo che ha condotto alla sua emanazione», risolvendosi «in un vizio del contenuto della prima decisione e non in un difetto di procedura o in un vizio di forma della decisione medesima».
13 Cons. Stato, Ad. Plen., nn. 10 e 11 del 2018, cit.; per un commento alle decisioni della Plenaria, M.A. Sandulli, Il Consiglio di Stato è giudice in unico grado sulle domande declinate o pretermesse dal TAR. La Plenaria definisce i confini del rinvio al primo giudice e stigmatizza la motivazione apparente delle sentenze, in Federalismi.it, 2018; A. Cassatella, La Plenaria limita i casi di rinvio al giudice di primo grado, in Giorn. dir. amm., 2019, 207 ss.; A Travi, nota a Cons. St., Ad. Plen., decisioni nn. 10, 14 e 15 del 2018, cit., 546 ss.; A. Squazzoni, Ancora in tema di rinvio o giudizio diretto del Consiglio di Stato. Brevi note a margine dell’Adunanza Plenaria, in Dir. proc. amm., 2019, 616 ss.; M. Lipari, Per una corsa della giustizia amministrativa senza scorciatoie. La decisione processuale di primo grado ingiusta tra rinvio al TAR ex art. 105 del cpa e tutela del diritto all’effettivo doppio grado di giudizio, in Omessa pronuncia ed errore di diritto nel processo amministrativo, cit., 397 ss.; Id., Annullamento con o senza rinvio al TAR, in Libro dell’Anno del Diritto 2019, Roma, 2019, 674 ss.; E Zampetti, Riflessioni a margine delle decisioni dell’Adunanza Plenaria nn. 10, 11 e 15 del 2018 in tema di annullamento con rinvio, in Omessa pronuncia ed errore di diritto nel processo amministrativo, cit., 427 ss.; F. Francario, Quattro sentenze per (non) chiarire un principio. Conclusioni di un Convegno sul valore dell’omessa pronuncia e dintorni, in Omessa pronuncia ed errore di diritto nel processo amministrativo, cit., 433 ss.
14 Cons. Stato, Ad. Plen., n. 10 del 2018, cit., secondo cui, a, fronte di un’erronea sentenza di irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità, la decisione nel merito da parte del giudice di appello non determinerebbe «alcuna violazione del principio del doppio grado», in quanto tale principio non implicherebbe che «il merito debba essere sempre esaminato in ciascun grado, conformemente alla natura devolutiva del mezzo d’appello». La pronuncia diretta del giudice di appello sarebbe pienamente giustificata dalla previsione recata nell’articolo 101, comma 2, c.p.a. che, nel sancire l’onere di riproposizione delle domande non esaminate o dichiarate assorbite, confermerebbe come il “mancato esame di una domanda (o il suo erroneo assorbimento) non possa mai determinare un’ipotesi di annullamento con rinvio”, atteso che, altrimenti, “detto onere di riproposizione non avrebbe alcuna giustificazione” (cfr. anche Cons. Stato, Ad. Plen., nn. 11 e 15/2018, cit.).
15 Secondo l’Adunanza Plenaria “della nozione di «merito processuale» possono darsi diverse accezioni, come «fatti processuali» o come «motivi di ricorso», esaminati nella sostanza, in contrapposizione ad una pronuncia di «rito» che non esamina il «merito». In base a questa duplice accezione di “merito processuale”, viene in considerazione la seguente casistica: «(a) decisioni di inammissibilità, che hanno omesso l’esame del merito inteso come fatti di causa, ossia decisioni che non prendono in considerazione la specifica situazione fattuale (ad es., nelle controversie in materia edilizia, la concreta ubicazione del bene di proprietà del ricorrente ai fini della verifica della vicinitas, della legittimazione e dell’interesse al ricorso, le concrete caratteristiche dell’immobile costruendo); (b) decisioni di inammissibilità, che non esaminano il merito inteso come motivi di ricorso; (c) decisioni con doppia motivazione, in rito e in merito, che, pur dichiarando inammissibile un ricorso, esaminano “comunque” i motivi di ricorso; (d) decisioni di inammissibilità in cui la declaratoria di inammissibilità è il risultato di una disamina di tutti o di alcuni motivi di ricorso» (…) «la prima e la seconda ipotesi sopra delineate danno luogo ad una pronuncia di annullamento con rinvio, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., in ragione della nullità della sentenza per motivazione apparente, come già rilevato dalle sentenze del 2018 dell’Adunanza Plenaria, o in ragione di un errore palese di rito che ha per conseguenza il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso. Nella terza e quarta ipotesi sopra delineate, vi è stato comunque un esame dei motivi di ricorso, che, anche se solo parziale, non giustifica un annullamento con rinvio, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello, come si desume anche dall’art. 101, comma 2, c.p.a».
16 Più esattamente, la ricostruzione in esame consentirebbe di rendere coerenti tra loro le diverse fattispecie disciplinate dall’articolo 105 c.p.a. «in quanto sia nel caso della nullità della sentenza (per palese errore di giudizio sulle condizioni dell’azione) che in quelli di erronea declinatoria di giurisdizione o competenza, erronea estinzione o perenzione, viene in rilievo non qualsivoglia errore di giudizio, ma quell’errore di giudizio che ha per conseguenza il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso» e, al contempo, consentirebbe di «evitare disparità di trattamento tra i casi di riforma di erronee decisioni di rito dell’art. 35, comma 2, c.p.a. (che impongono l’annullamento con rinvio) e i casi di riforma di erronee decisioni di rito dell’art. 35, comma 1, c.p.a., non espressamente richiamati dall’art. 105 c.p.a., non risultando ragionevole il trattamento differenziato di chi subisce un’erronea dichiarazione di inammissibilità del ricorso e di chi subisce un’erronea dichiarazione di estinzione del giudizio».
17 Tuttavia, pur riconoscendo la rilevanza costituzionale del principio per il sistema di giustizia amministrativa, l’Adunanza Plenaria ribadisce come di per sé esso non implichi il «diritto a un pieno esame della causa nel merito in due gradi», ma che, nel bilanciamento tra le esigenze del giusto processo e della sua ragionevole durata, spetti al legislatore ordinario la «mediazione tra il modello del doppio grado di merito pieno – in cui tutti i motivi e tutte le questioni sono esaminati in due gradi – e l’evenienza pratica di un primo grado di mero rito, seguito da un unico grado di merito pieno in fase di appello», nonché, per le ipotesi di erronee pronunce in rito, l’individuazione di un «modello intermedio tra un appello sempre cassatorio e un appello con effetto devolutivo pieno».
18 Invero, il quesito posto riguardava anche le sentenze di improcedibilità, ma l’Adunanza Plenaria circoscrive il principio di diritto alle sentenze d’inammissibilità, rilevando che «il caso concreto riguarda una pronuncia di inammissibilità del ricorso da parte del T.A.R. per difetto di legittimazione e interesse ad agire, e non anche un caso di erronea improcedibilità del ricorso».
19 Così, Cons. Stato, Ad. Plen., nn. 10 e 11 del 2018, cit. Più precisamente, per il richiamato orientamento, «la motivazione è apparente quando sussistono anomalie argomentative di gravità tale da porre la motivazione al di sotto del “minimo costituzionale” che si ricava dall’art. 111, comma 5, Cost.(…), con la conseguenza che «dà luogo a nullità della sentenza solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé», essendo invece del tutto irrilevante ai fini della nullità il «semplice difetto di “sufficienza” della motivazione»; sul tema, G. Strazza, La motivazione della sentenza amministrativa, in Il giudizio amministrativo. Principi e regole, a cura di M.A. Sandulli, Napoli, 2024, 533 ss.
20Cons. Stato, Ad. Plen., n. 10/2018, cit.: «in quest’ottica va precisato che la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione riguarda non solo le sentenze di rito (irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità), ma anche quelle che recano un dispositivo di merito (accoglimento o rigetto del ricorso) non sorretto da una reale motivazione. Rispetto al difetto assoluto di motivazione, invero, la nullità della sentenza prescinde dalla differenza tra pronunce di rito e pronunce di merito».
21 M. Magri – E. Zampetti, Motivazione “apparente” della sentenza e controllo giurisdizionale sulla discrezionalità amministrativa (nota a Consiglio di Stato, Sezione III, 16 novembre 2023, n. 9824), in Giustizia Insieme, 2/2024, 163 ss.
22 Per una prospettiva che inquadra l’oggetto del processo amministrativo nella verifica sulla legittimità dell’esercizio del potere, R. Villata, Nuove riflessioni sull’oggetto del processo amministrativo, in Studi in onore di Antonio Amorth, I, Milano, 1982, 207 ss., anche in R. Villata Scritti di Giustizia amministrativa, Milano, 2015, 561 ss.; F. Francario, Note in tema di legittimazione e di qualificazione dell’interesse nel processo amministrativo, in corso di pubblicazione su Dir. e soc.; già A.M. Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, 52, rilevava che «il criterio di individuazione della giurisdizione (e dell’azione) d’impugnazione è un criterio composito, il quale si basa da un lato sul fatto che si controverta della validità di un atto amministrativo (….) , e dall’altro sul fatto che l’atto impugnato incida nella sfera degli interessi legittimi (…) o, nei pochi casi di giurisdizione esclusiva – anche di certi diritti soggettivi tassativamente identificabili»; come noto, in una diversa prospettiva, l’oggetto del processo amministrativo è stato variamente individuato nel rapporto tra amministrazione e ricorrente (A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962; M.S. Giannini – A. Piras,Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, in Enc dir., Milano, 1970, 229 ss.; G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, 1980; recentemente, A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo, I,Situazione giuridiche soggettive e modello procedurale di accertamento, Torino, 2020, passim e spec. 521 ss. individua nella situazione giuridica del privato, denominata in termini di pretesa, l’oggetto del giudizio amministrativo, rilevando come la sede naturale per l’accertamento di tale situazione giuridica sia il processo di condanna: «poiché la situazione giuridica del privato, afferente al suo interesse di natura sostanziale che si pone in rapporto con la situazione di potere dell’amministrazione, è stata rappresentata nei termini di una pretesa alla produzione o alla non produzione dell’effetto (quindi, all’utilità finale, come mediata dall’assunzione del comportamento), il processo di condanna rappresenta la sede naturale in cui tale situazione giuridica possa assurgere ad oggetto dell’accertamento».
25 Va da sé che nessun contrasto vi sarebbe se si ritenesse che le sentenze d’inammissibilità siano nulle per difetto di motivazione solo se non abbiano esaminato la totalità dei motivi di ricorso. Ma non sembra che questa sia una strada percorribile perché non è da escludersi che una sentenza possa essere viziata per difetto di motivazione anche quando abbia esaminato i motivi di ricorso. In altri termini, il mancato esame dei motivi di ricorso non rappresenta un elemento costitutivo della nullità, a maggior ragione per le sentenze di rito. Altra cosa è constatare che, nella maggior parte dei casi, al vizio di motivazione della sentenza in rito si accompagni il mancato esame di tutti i motivi di ricorso. Ma l’argomento si limita a fotografare la realtà ed è pertanto privo di specifica rilevanza giuridica, quantomeno ai fini della categoria concettuale della nullità.
26 Sotto questo profilo, si può osservare che il principio di diritto enunciato nella sentenza non reca alcun riferimento all’omesso esame dei motivi di ricorso, limitandosi ad affermare che «l’art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applica anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, errando palesemente nell’escludere la legittimazione o l’interesse del ricorrente». Tale omissione appare irrilevante per l’individuazione della regula iuris affermata dall’Adunanza Plenaria, considerato che il principio di diritto va letto e inquadrato nel contesto complessivo della decisione, nel quale l’omesso esame dei motivi di ricorso assume una specifica rilevanza. Tuttavia, ove in ipotesi il principio di diritto fosse letto isolatamente rispetto al contesto della decisione, esso, così come formulato, potrebbe anche indurre a ritenere operante il rinvio al cospetto di tutte le sentenze di rito nulle per difetto di motivazione.
27 Sulla distinzione in esame, v., in particolare, Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 1995 n. 40, in Dir. proc. amm., 1997, 310 ss., con nota di F.G. Scoca – L. Giani, Spunti sulle nozioni di interesse legittimo e giudicato amministrativo, cit., 327 ss.
28 Così. F. Francario, Sentenza di rito e ottemperanza, in Dir. proc. amm., 2007, 78, anche in Garanzie degli interessi protetti e della legalità dell’azione amministrativa, Napoli, 2019, 139 ss.; cfr. anche C. Cacciavillani, Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, 2005, 171 ss.; A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2019, 380.
29 A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, cit., 380, che, con riferimento ad una sentenza dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione, rileva che la decisione «non avrebbe ad oggetto solo un fatto processuale, ma riguarderebbe anche l’insussistenza della posizione sostanziale dedotta in giudizio».
30 In tema, F. Saitta, La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?, in L’oggetto del giudizio amministrativo visto dal basso, a cura di C. Cudia, Torino, 2020, 45 ss.; che, nel processo amministrativo, la legittimazione ad agire si identifichi nella titolarità della situazione giuridica (a differenza del processo civile dove la legittimazione si identifica con la mera affermazione della situazione giuridica) è assunto largamente condiviso nella giurisprudenza: «nel processo amministrativo, la legittimazione ad agire in giudizio coincide con la titolarità di una posizione giuridica qualificata riconducibile ad un interesse legittimo o ad un diritto soggettivo che con il ricorso si intende tutelare» (Cons. Stato, Sez. V, 22 maggio 2023 n. 5031).
31 Per il superamento della nozione classica di legittimazione come titolarità dell’interesse legittimo, S. Mirate, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Milano, 2018, 182; A. Carbone, Potere e situazioni soggettive nel diritto amministrativo, II – 1, La situazione giuridica a rilievo sostanziale quale oggetto del processo amministrativo, Torino, 2022, 37 ss. e in particolare 61, il quale, sul presupposto che oggetto dell’accertamento giurisdizionale sia la situazione giuridica del privato che si rapporta con il potere, identifica la legittimazione a ricorrere con l’«affermazione della titolarità della situazione in capo al soggetto, individuata in relazione all’astratta possibilità giuridica della situazione stessa»; V. Cerulli Irelli – A. Carbone, Corso di giustizia amministrativa, Torino, 2025, 150 ss.; L. Ferrara, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2025, 152 ss.
32 Secondo Cons. Stato, Ad. Plen., n. 10/2018, cit., la lesione del diritto di difesa si riferirebbe alle ipotesi di «un vizio (non genetico ma) funzionale del contraddittorio, che si traduce nella menomazione dei diritti di difesa di una parte che ha, tuttavia, preso parte al giudizio, perché nei suoi confronti il contraddittorio iniziale è stato regolarmente instaurato, ma, successivamente, nel corso dello svolgimento del giudizio, è stata privata di alcune necessarie garanzie difensive»; conseguentemente, le ipotesi di lesione del diritto di difesa sono contraddistinte dalla «violazione di norme che prevedono poteri o garanzie processuali strumentali al pieno esercizio del diritto di difesa», nelle quali la violazione «avviene nel giudizio-procedimento, dove la parte non ha potuto difendersi»; in altri termini, «l’errore si annida nella procedura, e non nel contenuto della sentenza: il diritto di difesa, quindi, è leso nel giudizio e non dal giudizio» (cfr. anche Cons. Stato, Ad. Plen., n. 11/2018, cit.).
33 Per un’ampia ricostruzione delle ipotesi riconducibili alla lesione del diritto di difesa, R. De Nictolis, Codice del processo amministrativo commentato, Milano, 2012, 1486 ss.
34 Secondo Cons. Stato, n. 2122/2018, cit. la categoria della «violazione del diritto di difesa» sarebbe concettualmente più ampia di quella del “vizio formale o procedurale” e «astrattamente idonea a ricomprendere nel suo campo semantico anche quegli errori di giudizio che hanno sostanzialmente privato le parti del c.d. doppio grado di merito», sicché sarebbe «innegabile che l’erronea pronuncia di primo grado, dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso per difetto d’interesse, ha impedito l’esame nel merito della domanda, ledendo il diritto delle parti, in primo luogo delle parti ricorrenti, ad una decisione di merito».
35 E. Zampetti, Lesione del diritto di difesa e principio del doppio grado nel processo amministrativo. Studio sugli esiti del giudizio di appello, Napoli, 2020, 183 ss.; Id., Riflessioni a margine delle decisioni dell’Adunanza Plenaria nn. 10, 11 e 15 del 2018 in tema di annullamento con rinvio, in Omessa pronuncia ed errore di diritto nel processo amministrativo, cit., 427 ss.
36 Senza alcuna pretesa di completezza, sul principio del giusto processo nelle sue implicazioni sull’effettività della tutela giurisdizionale, S. Tarullo,Giusto processo (dir. proc. amm.), in Enc. dir., Annali, II, tomo I, Milano, 2009, 377 ss.; Id., Il giusto processo amministrativo. Studio sull’effettività della tutela giurisdizionale nella prospettiva europea, Milano, 2004; M. Ramajoli, Giusto processo e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., 1/2013, 100 ss; M. Luciani, Il “giusto” processo amministrativo e la sentenza amministrativa “giusta”, in La sentenza amministrativa ingiusta e i suoi rimedi, a cura di F. Francario – M.A. Sandulli, Napoli, 2018, 17 ss.
37 F.G. Scoca, I principi del giusto processo, in Giustizia amministrativa, a cura di F.G. Scoca, Torino, 2011, 166; cfr. Corte cost., 16 ottobre 1986 n. 220, in www.cortecostituzionale.it; Corte cost., 12 marzo 2007 n. 77, in www.cortecotituzionale.it.
38 T. Liebman, Corso di diritto processuale civile, Milano, 1952, 33, ID., L’azione nella teoria del processo, in Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, II, Padova, 1950, 427 ss.
39 E. Zampetti, Lesione del diritto di difesa e principio del doppio grado nel processo amministrativo. Studio sugli esiti del giudizio di appello, cit., 240 ss.
40 Sul tema, M. Magri, Individuazione dell’interesse legittimo e accertamento della legittimazione ad agire nel processo amministrativo, dopo il “caso Randstad”, in Giustizia Insieme, 21 aprile 2022.
41 Cass., Sez. Un., 23 novembre 2023, n. 32559 che, in accoglimento del primo dei motivi di ricorso, ha cassato la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 9 novembre 2021, n. 18/2021 (cfr. anche Cass., Sez. Un., (ord.) 9 gennaio 2024, n. 786).
42 Cass., Sez. Un., n. 32559/2023, cit.: «La questione concernente la configurabilità o meno di un interesse (legittimo) suscettibile di tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo integra un problema di giurisdizione, in quanto attiene ai limiti esterni delle attribuzioni di detto giudice e, pertanto, è deducibile con ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell’articolo 362 cod. proc. civ (…) In conclusione, si è trattato di un diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale sulla base di valutazioni che, negando in astratto la legittimazione degli enti ricorrenti a intervenire nel processo, conducono a negare anche la giustiziabilità degli interessi collettivi da essi rappresentati, relegandoli in sostanza al rango di interessi di fatto».
43 È evidente come la posizione espressa da Cass. n. 32559/2023, cit., superi nettamente quella pur sempre espressa dalle Sezioni unite, secondo cui il «cattivo esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice, che provveda perché investito di essa e, dunque, ritenendo esistente la propria giurisdizione e, tuttavia, nell’esercitarla, applichi regole di giudizio che lo portino a negare tutela alla situazione giuridica azionata, si risolve soltanto nell’ipotetica commissione di un errore all’interno ad essa e, se tale errore porta a negare tutela alla situazione fatta valere, ciò si risolve in una valutazione di infondatezza della richiesta di tutela, ancorché la statuizione, in quanto proveniente dal giudice di ultimo grado della giurisdizione adita, comporti che la situazione rimanga priva di tutela giurisdizionale». (Cass., Sez. Un., 6 giugno 2017, n. 131 giugno 2023, n. 15601); una posizione intermedia tra quest’ultima e quella espressa da Cass. n. 325559/2023, cit., afferma che «alla regola della non estensione agli errori in iudicando o in procedendo del sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni del giudice amministrativo può derogarsi nei casi eccezionali di radicale stravolgimento delle norme di riferimento, tale da ridondare in manifesta denegata giustizia» (Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2015, n. 2242, in Foro it., 2016, I, 327); in generale, sui limiti del sindacato spettante alla Corte di cassazione nei confronti delle sentenze dei giudici amministrativi, M.A. Sandulli, La giurisdizione del giudice amministrativo, in Il giudizio amministrativo. Principi e regole, a cura di M.A. Sandulli, Napoli, 2024, 81 ss.
44 Cons. Stato, Sez. VII, 19 febbraio 2024, n. 1653, secondo cui «l’errata declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva (…) non rientrano nell’ambito delle questioni di giurisdizione di cui all’articolo 105 c.p.a.», in quanto «non potrebbe mai considerarsi “rifiuto assoluto di giurisdizione” la decisione con cui il giudice non esclude affatto la “giustiziabilità” di una pretesa sostanziale, ma accerta quali siano i soggetti titolari della relativa legittimazione». Che l’erronea declaratoria d’inammissibilità del ricorso non integri un’ipotesi di rifiuto di giurisdizione era già stato affermato nel 2018 dall’Adunanza Plenaria, sul rilievo che il rifiuto di giurisdizione non può «estendersi all’ipotesi in cui, l’esistenza della giurisdizione è incontroversa, ma il giudice amministrativo nell’esercitarla, ravvisi la sussistenza di impedimenti di natura processuale all’esame nel merito della lite» (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 10/2018, cit.).
45 Corte cost., 18 gennaio 2018, n. 6, secondo cui «“l’eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici».
46 Corte cost., n. 6/2018, cit.; «la tesi che il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall’ottavo comma dell’art. 111 Cost avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando non può qualificarsi come una interpretazione evolutiva, poiché non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale».
48 Come, ad esempio, quando si impiega la generica espressione “errore palese”, che può creare incertezza nella qualificazione della nullità; o quando l’omesso esame dei motivi sembra intendersi come condizione necessaria per l’integrazione del difetto assoluto di motivazione (v. supra nel testo).
49 Si intende quelli contemplati dall’articolo 105 c.p.a, quali l’errore sulla giurisdizione, sulla competenza, sull’estinzione e sulla perenzione.
50 É in ogni caso la stessa sentenza dell’Adunanza Plenaria ad escludere che l’ampliamento delle ipotesi di rimessione possa arrecare pregiudizio alla ragionevole durata del processo, rilevando che «un appello avverso una pronuncia di inammissibilità, in cui si lamenti la “nullità della sentenza” (…) si può comporre con un solo motivo (volto a far rilevare l’ammissibilità del ricorso) ed è destinato o al rigetto o all’accoglimento con annullamento con rinvio, senza esame del merito da parte del giudice di appello» e che «trovano pertanto applicazione gli articoli 72 e 72-bis c.p.a. sulla fissazione con priorità dell’udienza pubblica, trattandosi di un ricorso vertente su un’unica questione, e sulla trattazione in camera di consiglio con i termini propri del rito cautelare, trattandosi di un appello suscettibile di immediata definizione». Sebbene la pronuncia si riferisca specificamente alle sentenze d’inammissibilità nulle, le conclusioni a cui giunge valgono anche nella prospettiva in cui le erronee sentenze d’inammissibilità si ritengano lesive del diritto di difesa.